
Musica e didattica
INTERVISTA AL NOSTRO DIRIGENTE SCOLASTICO, PROF EMILIO PROCACCINI, FABRIANESE ILLUSTRE, GRANDE MUSICISTA E DIRETTORE D’ORCHESTRA
- Quali scuole e università ha frequentato?
Il Liceo Classico “Francesco Stelluti” di Fabriano ed il Conservatorio “Francesco Morlacchi” di Perugia, il cui diploma accademico corrisponde alla laurea.
- Quando e come ha scoperto il suo talento? Quando ha capito che suonare e dirigere un’orchestra è ciò che le piace fare nella vita?
Direi che la scoperta della mia attitudine musicale è stata piuttosto casuale, o meglio indotta dalla passione di mio padre per la musica. Il conseguimento del diploma di pianoforte nel 1981 mi ha definitivamente indirizzato verso il professionismo musicale, che poi si è sostanziato nel 25ennale incarico di docente di pianoforte presso l’indirizzo musicale della Scuola media Marco Polo di Fabriano. L’altra grande esperienza tutt’ora esistente, oltre ad una varia attività concertistica, è quella della direzione del Coro Giovani Fabrianesi, attualmente ridenominato Voci Fabrianesi.
- Che lavori ha fatto prima di diventare Dirigente?
Come dicevo sopra, ho insegnato pianoforte per 25 anni presso la Scuola Media Marco Polo. Parallelamente all’attività didattica, ho iniziato ad interessarmi anche agli aspetti gestionali della scuola.
- Come ha iniziato la sua carriera da DS?
Non appena immesso in ruolo a seguito di concorso, ho iniziato l’1 settembre 2007 a fare il ds presso l’Istituto Comprensivo “Fernanda Imondi Romagnoli”, qui a Fabriano, dove sono rimasto fino all’a.s. 2017/2018, anno in cui ho assunto anche la reggenza del “Morea-Vivarelli”.
- Trova complicato il suo lavoro? Cosa le piace e cosa no?
Assolutamente sì. L’estrema varietà degli aspetti gestionali di cui ci si deve occupare (nulla di ciò che accade in una scuola non può non riguardare il ds) costituisce un potente stimolo ad una visione allargata ed accogliente della realtà, mentre il multiforme prospetto delle responsabilità di ogni tipo rappresenta un innegabile fardello.
- Cosa ha imparato dal suo ruolo che non si aspettava?
Il dover affrontare tante e talmente diversificate situazioni che, di primo acchito, mi sembrava nulla avessero a che fare con la scuola.
- Avrebbe mai pensato di diventare Dirigente?
Nel momento in cui ho cominciato ad occuparmi di alcuni aspetti gestionali della scuola (come consigliere di istituto, coordinatore dell’indirizzo musicale e collaboratore dell’allora preside, oggi ds) ho cominciato a pensarci. Poi nel 2004 ha preso avvio la procedura concorsuale al termine della quale, superate varie prove, mi sono ritrovato ds.
- Qual era il suo sogno da giovane?
Naturalmente quella di diventare un musicista che potesse vivere del proprio lavoro. Così non è stato, ma sono comunque soddisfatto delle scelte che ho fatto. Mi ha anche solleticato l’idea di fare l’avvocato.
- E’ difficile gestire così tante scuole insieme?
In realtà, quando parliamo di Morea e Vivarelli parliamo di un’unica scuola, sotto tutti i punti di vista: legale, amministrativo ed economico. Poi ci sono i vari indirizzi con i propri percorsi didattici e le situazioni “speciali” di convitto ed azienda agraria; ma la scuola una rimane. Altro discorso è quello delle reggenze di altre autonomie scolastiche, esperienza che sto facendo da 9 anni in 5 istituti diversi: IC “Carlo Urbani” di Moie, come dicevo IIS “Morea-Vivarelli”, poi IC “Carloni” di Cerreto d’Esi, IC “Strampelli” di Castelraimondo e, attualmente, IC “Paoletti” di Pieve Torina (IC sta per istituto comprensivo). E’ sicuramente faticoso ma mi consente di avere contatto con tutto lo spettro scolastico, dai 3 ai 18 anni.
- Che rapporto ha o vorrebbe avere con i suoi studenti?
Un rapporto di maggiore vicinanza e frequentazione, perché gli studenti rappresentano il cuore di ogni scuola e attorno ai loro bisogni va costruita l’azione educativa e formativa. Purtroppo tali e tanti sono gli adempimenti legati alla dimensione gestionale ed amministrativa che mi riesce davvero difficile avere più tempo per dedicarmi ad un dialogo più costante, dialogo di cui c’è un estremo bisogno per meglio focalizzare il rapporto con l’attività scolastica quotidiana e liberarla dai tanti stereotipi che la limitano pesantemente, primo fra tutti la nefasta ossessione per i voti che annulla gli obiettivi di apprendimento.
- Cosa vorrebbe migliorare del suo lavoro?
La possibilità, appunto, di agire sull’efficacia della dimensione pedagogica e poi la sempre più necessaria capacità di entrare in relazione con le realtà formative e produttive dei territori in cui risiedono gli stakeholders della scuola.
- Cosa vorrebbe cambiare/migliorare del Morea-Vivarelli?
Proprio l’approccio di studenti e docenti ad un agire didattico che si concentri sui diversi stili di apprendimento, fissando – attraverso metodologie laboratoriali – obiettivi formativi ancorati alla realtà e tesi a costruire sia conoscenze che competenze e non a trasmettere sterili nozioni.
- Come vede il futuro di questa scuola?
Lo vedo positivo solo nella misura in cui ci si renderà conto che le aspirazioni che ho appena sopra delineato non sono frutto della mente di un sognatore ma piuttosto, oltre ad essere obblighi di legge da tempo esistenti, costituiscono una grande opportunità di valorizzazione dei talenti che ogni studente ha e delle professionalità dei nostri docenti.
- Cosa ne pensa del sistema scolastico in generale? Cosa vorrebbe cambiare di quest’ultima?
Il sistema scolastico italiano avrebbe un grande punto di forza nell’autonomia scolastica. Purtroppo prevalgono ancora forti rigidità centralistiche e ministeriali che imbrigliano le potenzialità educative e formative, oltre a complicare la vita dei ds. Oltre ciò, sarebbe auspicabile – in considerazione dell’estrema velocità evolutiva delle scienze e della cultura – che i curricoli di studio fossero molto più flessibili, in modo tale da provare ad intercettare le varie intelligenze, gli stili di apprendimento e i progetti di vita degli studenti e delle studentesse.
- Che visione ha dei giovani di oggi e delle prossime generazioni?
Temo di non avere gli strumenti conoscitivi e le competenze per poter arrischiare la definizione di una visione organica delle generazioni attuali e future. Potrei solo dire che vedo una grande e diffusa fragilità, letteralmente esplosa dopo la crisi pandemica. La scuola, naturalmente, non può assumere ruoli che non le competono, ma penso che i nostri ragazzi abbiano diritto ad essere sempre stimolati, sostenuti e valorizzati, soprattutto nei momenti di difficoltà.
Lina Abdellaoui
Davide Renelli